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giovedì 13 dicembre 2012

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (4)

La tattica dell'introduzione lenta e in minore si è rivelata ottima, al punto che Kraus - evidentemente soddisfatto - la ritenta tale e quale nella Sinfonia successiva VB 139, scritta all'incirca un anno dopo (siamo ancora a Stoccolma, a cavallo tra l'80 e l'81). La Sinfonia è incisa nel I volume della collana Naxos dedicata a Kraus.

Stavolta siamo tornati a un organico normale con flauti e corni e senza il violino quasi-solista, ma come vedremo la struttura dell'orchestra kraussiana tenderà via via ad ampliarsi, quasi Joseph Martin fosse stato un antifilologo convinto; si vede in ogni caso che avrebbe apprezzato le sonorità ottocentesche, se consideriamo il crescendo numerico che caratterizza la strumentazione delle sue opere.








Anche questa introduzione detta il carattere all'opera: l'assenza del violino principale corrisponde a un minor lirismo, ma l'amabile serietà che già avevamo ammirato nella sinfonia precedente e contrasta con la pretesa frivolezza settecentesca non viene mai meno. Così abbiamo un Andante di molto ancora in do minore di misteriosa e dolente bellezza, irto di significative pause già beethoveniane e forse persino superiore all'introduzione della VB 138, che si fa da parte dopo circa un minuto e mezzo per cedere il posto all'Allegro in maggiore, di impronta eroica ma quasi mai festosa.

Abbiamo ormai passato le soglie di un sinfonismo ben diverso da quello cui ci hanno abituati l'Haydn e il Mozart di quel periodo, e ci troviamo senza accorgercene nel bel mezzo di momenti e di movimenti che grondano slancio e maestosità, tra il solenne e l'indomito.



Il 2° tempo, Un poco andante, è sorprendentemente breve e sembra cominciare a caso, da una frase qualsiasi, e ricorda quei tempi del periodo francese di Haydn denominati "capriccio" e sistemati al posto del tempo lento. Non si capisce neppure, dalle primissime battute, se siamo in modo maggiore o minore.





Il melodizzare inquieto assume rapidamente forme più classiche e riconoscibili, ma di tanto in tanto interventi bruschi dell'orchestra, piazzati nel silenzio generale, riportano un caos che non avevamo ancora sperimentato in queste opere. Dopo neanche tre minuti e mezzo arriviamo al Finale (Allegro), altrettanto conciso: la durata del 2° e del 3° tempo lasciano intendere che quest'opera fosse meno ambiziosa della precedente.






In ogni caso abbiamo una forma-sonata atipica: le frasi dell'esposizione germogliano spontaneamente una dall'altra e riportano all'idea di un monotematismo intelligente e costruttivo (anche se è possibile riconoscere almeno due melodie, il loro peso all'interno del Finale è piuttosto modesto).
Il soggetto principale non è più importante di quel che segue, anzi ne è persino sovrastato, al punto che lo sviluppo - dopo aver ripreso pari pari dal tema iniziale - finisce per insistere sul materiale di transizione fra un soggetto e l'altro. Dopodiché, Kraus passa a una veloce ricapitolazione (che par più una coda che una ripresa) del materiale già cospicuo che aveva presentato.

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