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lunedì 25 marzo 2024

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (31)

"Un'ansia di novità, di ampliamento espressivo (che solo il secolo a venire, con le sue innovazioni, avrebbe potuto placare) si avverte anche altrove: un'opera che si distingue non solo dalla restante produzione kraussiana, ma anche da quella classica in genere, mostra un primo tempo inconcepibilmente lungo se si considera l'organico cui è destinato: è il Quintetto per flauto VB 188, la cui esecuzione sfiora i 10 minuti. Una durata possibile per una sinfonia, rara per una sonata classica, inusitata per un genere normalmente rivolta a interpreti di livello amatoriale.


L'esposizione di questo Quintetto è gigantesca, non tanto per il contenuto ancora morbidamente classico, quanto per la lunghezza e l'ambizione che Kraus manifesta in questa volontà di arrivare a tempi di durata romantica. Anche il Largo e il Finale seguenti durano molto più della media (ca. 8 e 6 minuti rispettivamente), e se sommiamo il totale dei tempi arriviamo a qualcosa come 25 minuti circa di musica in 3 soli movimenti. Solo il Quintetto per clarinetto di Mozart, che era però destinato a un solista di grandissimo livello, presenta dei brani così estesi."
Il primo tempo ha alcuni punti melodici di contatto col KV 285 mozartiano:



Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (30)

Nel Cantabile in sib "O hamn af hjelte, far och maka", Kraus bissa, ma con una maggiore tensione sottolineata dalle note ribattute dell'accompagnamento, il clima disteso del quartetto con coro. E' l'ultima aria prima del Coro conclusivo "Kungars Gud!", in cui coro e orchestra tornano a infuriare:


Il coro è diviso in due parti, la prima dirompente, la seconda meno mossa ma altrettanto dolorosa. Per pochi secondi torna lo schema ritmica del coro precedente "O skulder af blod", poi la musica si accora, rallenta, si scuote ancora, implode, muore. Il tutto in meno di 3 minuti, a coronamento di un'opera concisa, accesa e struggente a un tempo, tanto più degna dell'epigrafe apposta sulla lapide del compositore:

"Qui riposa ciò che di Kraus è mortale, ciò che è immortale vive nella sua musica”.

Più che lecito, è naturale chiedersi cosa avrebbe potuto mai combinare un Kraus sopravvissuto al suo secolo, magari a contatto con un Beethoven o uno Schubert. La stessa domanda è stata posta con Mozart, lo stesso Schubert, Hyacinthe Jadin, Arriaga e altri meravigliosi personaggi del mondo musicale, ma nel caso di Kraus il rimpianto – almeno per quanto riguarda il genere sinfonico – è ancora più pungente, perché opere come la Sinfonia in do/do# minore o la Funebre avrebbero potuto schiudere orizzonti forse più sconvolgenti di quelli promessi dalla KV 550 o dalla Jupiter.

Probabilmente è uno degli autori che meglio si sarebbero inseriti nel mondo musicale dell'800, considerata la sua predisposizione a una poetica beethoveniana, il suo sapiente utilizzo delle pause e i suoi cambi d'umore che possono ricordare C.P.E. Bach, ma a differenza di quest'ultimo Kraus li alterna con un controllo e una coerenza maggiori. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (29)

Il coro "O skulder af blod" (il testo riprende la prima aria con coro e il suo piglio veemente), nella sua trascinante scansione ritmica iniziale poi seguita da una fuga imponente, è un altro capolavoro che riunisce visionariamente passato e futuro. Lampeggia, proprio in quelle battute d'esordio, la violenza beethoveniana:


C'è poi una seconda introduzione, quasi l'autore avesse voluto compensare la mancanza di una ouverture originale per quest'opera. Fremiti sinistri accompagnano il tema dell'Andante maestoso, che di per sé non è cupo e si apre a meditazioni più dolci, ma ripiegherà successivamente anche su pensieri assai mesti. La raffinata orchestrazione (oboi, clarinetti, fagotti, quattro corni e archi) asseconda pienamente il limpido percorso musicale che partendo dal do minore attraversa regioni di toccante solennità. L'atmosfera, nelle battute finali, ricorda un'altra introduzione, quella delle Sette parole di Cristo in croce di Haydn.


Il brano che segue, un quartetto con coro ("Dygder, snille, bördens ära"), si presenta con un esteso cappello strumentale in un nobile mi bemolle. Sembano ormai dimenticati i toni violentissimi dell'inizio, assorbiti qui da una calma mozartiana che si intensifica nelle successive entrate dei solisti. Questo è il pezzo più lungo (prima introduzione a parte) della Cantata, e contempla anche una parte in minore che funge da sviluppo. Da incorniciare i momenti in cui le voci si sovrappongono via via, con procedimenti imitativi di consumata sapienza che ricordano un passo analogo del quartetto "Andrò ramingo e solo" dell'Idomeneo.


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (28)

La Cantata funebre rinuncia in parte alla desolata rassegnazione che caratterizzava la Sinfonia omonima e si lancia invece in un accorato grido di dolore e indignazione contro l'assassino che ha messo fine alla vita di Gustavo III. Dopo un'introduzione che è ripresa pari pari da quella della Ouverture VB 147, Kraus dà subito fuoco alle polveri con due magnifici pezzi, il secondo dei quali particolarmente rabbioso. 

Efficacissima, a 2:56, l'entrata del coro che sovrasta la voce del già adirato tenore. La furia che sconvolge questo splendido ha in sé qualcosa di verdiano, pur mantenendosi classica nelle forme e nella scrittura. 



Il brano successivo, "På tronens höjd tyrannen skryte", si presenta in apparenza come un'altra aria appassionata, benché i toni siano più positivi (il re minore diventa maggiore dopo alcune battute), e si sofferma su considerazioni sorprendentemente serene verso la metà, quando sfocia in un Andantino in si bemolle che rappresenta una delle puntate della Cantata verso l'elegiaco.

Anche il 5° pezzo, "Han är ej-mer, o grymma lagar", si attesta su un versante lirico e particolarmente melodioso. Sembrerebbe un'aria e invece è un duetto, dato l'intervento del tenore a metà della partitura. E' l'ennesima sorpesa, ma le novità e gli scarti dalla norma permeano tutte le composizioni dell'ultimo Kraus. Vengono comunque spontanei raffronti col Requiem mozartiano, in cui si riscontrano più o meno le stesse oscillazioni tra il sublime e il rabbioso.


Dopo un recitativo, abbiamo un'altra aria con coro che ricorda, nel tema, uno degli ultimi brani del Ratto dal Serraglio, ma è il bellissimo soggetto - che sembra preso da un corale - del brano successivo, la piccola aria "Dit lif en kedja var", con la sua dolente sezione in minore, ad attirare la nostra attenzione. L'inizio ricorda molto le atmosfere della Sinfonia sorella di questa Cantata:


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (27)

Un regicidio e due capolavori 

Il 16 marzo 1792 Gustavo III viene ferito durante una festa. All'attentato (molti se ne saranno già ricordati) è ispirata l'opera di Verdi Un ballo in maschera, che qualche volta viene rappresentata con alcuni nomi modificati: per esempio Riccardo diventa Gustavo, Anckarström è Renato, ecc. A differenza di quanto avviene nell'opera, il Re non muore subito, bensì 13 giorni più tardi.

"Fedele monarchico", secondo il Van Boer, Kraus scrisse una sinfonia e una cantata (entrambe denominate "Funebri") per commemorare Gustavo III. Un commovente aneddoto narrato da Anrep-Nordin e Schreiber e riportato dallo stesso Van Boer ci informa che, durante le prove, "Kraus svenne per l'emozione e solo dopo aver pianto copiosamente, confortato dal principe reggente Carlo, riuscì a ricomporsi".

Questo detto, la musica conferma il coinvolgimento e l'affetto di Kraus, a cominciare dal primo tempo della Sinfonia VB 148 in do minore (vol. 3 Naxos), un unicum non solo nella produzione dell'autore, ma anche – probabilissimamente – di tutto il '700, trattandosi di una sinfonia composta da 4 tempi tutti lenti (Andante mesto, Larghetto, Chorale, Adagio).

Il primo movimento farebbe pensare a un'introduzione che precede un allegro tempestoso, come era avvenuto nella Sinfonia VB 142 nella stessa tonalità (e nella sua prima versione in do#minore). L'inizio è scandito dal ritmo dei timpani, ma l'atmosfera instaurata dalla melopea che gli archi disegneranno di lì a poco può rammentare la severità e la grandezza della Marcia funebre della Sinfonia Eroica che avrebbe visto la luce nel 1804.

La significativa pausa a 1:13 non prelude a un'accelerazione del discorso musicale, che riprende invece con identico tempo, ma stavolta in modo maggiore, elevando un canto di frenetica bellezza che forse descrive la magnanimità del sovrano assassinato. La strumentazione, ricca come non mai (due oboi, due clarinetti, due fagotti, due corni in mib e altri due in do basso, due trombe, timpani e archi), accompagna discretamente la musica, con interventi misurati e intensi dei fiati:



I tempi centrali della sinfonia, Larghetto e Chorale, sono molto brevi (38 e 21 battute rispettivamente) per quelle che oggi chiameremmo ragioni di spazio. Definiti "interludi" dal Van Boer, pur nella loro estrema concisione racchiudono anch'essi bellezze insospettabili.

Il Larghetto è un tema stupendo in 3/8, dalle screziature brahmsiane: se non fosse per la durata, potrebbe già appartenere al secolo successivo. Composta da appena due sezioni ripetute, questa miniatura è un po' più mossa del tempo precedente, coniugando la massima semplicità con un senso melodico ormai di altissima levatura.


Nel terzo movimento, che nell'edizione Naxos dura meno di un minuto (e in quella qui proposta poco di più), abbiamo il semplice accompagnamento di un corale svedese che, notizie di Van Boer alla mano, veniva cantato dai presenti. L'operazione bachiana riesce a meraviglia, al punto che questa armonizzazione diventa canto puro da sola.


L'ultimo tempo, Adagio, riprende curiosamente nella melodia lo stesso tema con cui esordiva l'Allegro della Sinfonia in do minore VB 142 di otto anni prima, naturalmente con molta più lentezza. Lungo più o meno quanto il primo movimento, l'Adagio si suddivide in più sezioni, e dopo un inizio molto cupo in minore modula argutamente in maggiore per lasciar spazio a un intervento dei corni.

A metà circa del brano, Kraus avvia una fuga (una rarità per il suo repertorio: quella che figura nella Sinfonia in re minore, come sappiamo, è il rimaneggiamento di un'opera precedente di Albrechtsberger), ma sarà il fosco rullare dei timpani che aveva aperto la splendida sinfonia a chiuderla, in un clima affranto e sfibrato.





Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (26)

Olympie, ovvero come la Naxos scoprì un genio

Il 7 gennaio 1792, due giorni dopo la nascita del lied in memoria di Mozart, si rappresenta con grande successo la tragedia Olympie di Voltaire al Teatro reale drammatico di Stoccolma. Kraus ci aggiunge le musiche di scena (un'ouverture, unamarcia per fiati, quattro interludi e un postludio). L'ouverture, solenne e severa, è il primo brano in assoluto dell'integrale sinfonica Naxos. La struttura dell'ouverture è tripartita: adagio – allegro – adagio, dove l'ultima parte riprende tematicamente la prima. Il livello è quello, superbo, delle sinfonie kraussiane in minore, con il finale che non giunge a una conclusione, restando invece sospeso per introdurre le prime battute della tragedia:


Gli altri brani si mantengono su toni più moderati e semplici, ma dopo la marcia che apre i giochi, l'interludio tra I e II atto (1:21), in un bel minore drammatico, ritrova quei caratteri eroici ai quali Kraus ci ha abituati.

Più esteso, ma anche più galante,è l'interludio tra II e III atto (2:11), una sorta di contraddanza quasi innocua; tra il III e il IV (4:27) abbiamo invece un fraseggio più riflessivo, con ampie parti affidate ai fiati. Benché il suo tema di partenza sia spoglio, è il pezzo più elaborato e seducente di questa serie.

L'ultimo interludio (8:48) comincia per contro da una melodia staccata in tempo mosso e ricca di pause esitanti: simile a un finale di sinfonia (ma chiaramente pensato per la scena), è un altro brano danzante, con un chiaro andamento di minuetto. A concludere il lotto delle musiche di scena è un solenne postludio (11:50) con tanto di tromboni, che doveva sottolineare la tragica conclusione del dramma e sembra prepararci, nel suo desolato calando, alle meditazioni ultraterrene della Sinfonia funebre.


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (25)

L'ultimo anno. Se non erano amici loro… 

Il 5 dicembre 1791 muore Mozart. Tre settimane dopo la notizia raggiunge la Corte svedese: per Kraus è un brutto colpo e lo è anche per il suo amico Carl Michael Bellman, poeta e liederista. Entrambi erano infatti mozartiani convinti, come ci informa Van Boer, e si mettono d'accordo per scrivere un lied commemorativo. Bellman pensa al testo, Kraus lo musica e ne vien fuori un canto dagli accenti vagamente massonici,quasi una traccia d'eco del Flauto magico.




Il testo esprime il dolore per la morte del compositore. Attorno alla sua tomba suonano tristemente alcuni strumenti e una cantante intona un lamento piangendo il suo nome, mentre lo spirito di Mozart, "ombra nobile", s'invola verso l'Eliso. 

Questa composizione non è di per sé una prova che i due autori coetanei si fossero conosciuti di persona in precedenza, ma può costituire un indizio importante se riconsideriamo l'arrangiamento della marcia dell'Idomeneo (che con verosimiglianza doveva esser giunta a Kraus per vie dirette, considerato che – lo ribadisco – l'opera non venne pubblicata prima del 1792 e a Vienna Kraus aveva fatto parte della stessa loggia massonica cui era affiliato Mozart). Purtroppo, e questa è un'altra cosa che va ribadita, non ci sono documenti né lettere che dimostrino sia avvenuto un loro incontro. C'è solo quella missiva, di cui s'è già detto, in cui Kraus menziona in termini affettuosi Mozart e il Figaro. 

È strano infine che questo omaggio, suggello dell'importante amicizia con Mozart (o almeno dell'ammirazione nei suoi confronti), non abbia ancora avuto l'onore di un'incisione ufficiale, nonostante molti dei lieder kraussiani abbiano trovato ricetto nei CD Naxos. Ringraziamo perciò il pianista-cantante che l'ha caricata sul tubo per noi. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (24)

A futura memoria: un desiderio irrealizzato

Per parlare della composizione principale di Kraus del 1791, l'opera Enea a Cartagine, tocca fare un passo indietro di 9 anni. Nel 1782 Kraus si era fatto conoscere a Stoccolma con un altro lavoro teatrale, la Proserpina, eseguito con successo e premiato con la nomina a vice Kapellmeister. Già che c'erano, gli avevano pure commissionato una nuova opera, per l'appunto quest'Enea a Cartagine. 

Ne aveva già composto il prologo e un paio d'atti quando vide sfumare il progetto di una rappresentazione in tempi brevi perché la primadonna Caroline Müller aveva abbandonato Stoccolma di corsa, portandosi appresso anche il marito pur di sfuggire alla prigione per debiti. Mentre questi due scappano, godiamoci l'ouverture e il coro iniziale della Prosperina, che mettono allegria e non sono male:


 

Durante il suo Grand Tour per l'Europa, Kraus ha tutto il tempo di rivedere il lavoro fatto e di comporre anche i tre atti mancanti. L'opera è infatti di dimensioni monumentali, non solo per il numero degli atti, ma per l'apparato scenico che richiede: giusto per dare un'idea, in scena avvengono un terremoto, una tempesta e una battaglia in cui sono impegnati non meno di tre eserciti rappresentati da altrettanti cori (ce lo dice il Van Boer, possiamo fidarci). E' quindi arduo rappresentare una camurria simile, anche se esempi di poco posteriori come il Cortez di Spontini (con cariche di cavalleria sul palcoscenico e altri effettoni speciali) ci informano una volta di più che all'epoca si sapevano arrangiare benissimo anche senza grandi risorse tecnologiche. 

Dal canto suo, Kraus non si limita a scrivere carrettate di musica vocale per la suddetta opera, ma la imbottisce letteralmente di brani strumentali (una ventina in tutto), a cominciare dall'ouverture del prologo:



Kraus torna dal Grand Tour nel 1786 con la viva speranza di mettere in scena l'Enea. Ci riprova nel 1790 e il Re gli dà nuovamente buca perché aveva altro per la testa: la guerra contro la Russia era ancora in corso. Per trarre vantaggio anche dalla sfortuna, Kraus rimaneggia ulteriormente la partitura, finendo di modificarla 1791, ma non vedrà mai la prima del suo gigantesco lavoro. Per farla breve, l'opera sarebbe stata rappresentata solo nel 1799. Nel 2006 è stata ripresa al Teatro di Stato di Stoccarda.

Ancora ai giorni nostri non abbiamo una versione completa dell'opera in CD, ma la Naxos ha inciso tutta la musica strumentale dell'Enea, che in totale occupa quasi 70 minuti. L'unica aria reperibile in giro per la rete è questa, stupenda e di raggiante bellezza, e ci fa desiderare di scoprire presto le altre:




Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (23)

Un salto all'opera. Cantate sacre e profane. 

La Sinfonia per Gustavo contribuisce al successo del monarca, le cui proposte vengono approvate dal Parlamento. Dunque la guerra contro Russia e Danimarca continua a suon di musica e la Svezia ne uscirà vincitrice in estate. A questo "sostegno musicale potente e adeguato alla propaganda del Re" (Van Boer) segue un paio di mesi dopo, a maggio, la rappresentazione del Soliman II, nei cui balletti (e nella sinfonia alla turca che funge da ouverture) abbondano le turcherie tanto di moda all'epoca:


L'opera Solimano II, o i Tre sultani, pur riscuotendo un grande successo, è tuttavia lontana dai capolavori sinfonici o da altre belle scoperte che hanno allietato i kraussologi.

Più consistenti, nel complesso, le due cantate dell'anno successivo, pur facendo capo a circostanze totalmente differenti. Una, "Kom! Din herdestaf att bära" (Vieni a portare il tuo pastorale!, VB 15) è sacra, composta per l'insediamento del nuovo pastore nella chiesa di Kungsholmen, l'altra, "La primavera" è profana e destinata invece alla cantante Lovisa Augusti, che doveva essere una fior di virtuosa se si considerano le difficoltà tecniche della composizione. 





Morì, la povera Augusti, appena trentatreenne nel giugno del 1790. Un paio di mesi dopo Kraus la rimpianse in una lettera, anche per le qualità canore. "La nostra povera Augusti, che ha potuto contare su una salute stabile per un mese ancora, e che negli ultimi 3 è stata martoriata da centinaia di piaghe, adesso riposa in pace":

Se con la cantata per il pastorale ci è andata Youtubbianamente di lusso, non possiamo trastullarci altrettanto per quanto concerne la cantata profana. Resta qualche magro estratto dal sito della jpc. Da quel poco che risulta, ad ogni modo, pare che questa sia una cantata niente male. Si attende comunque con ansia e irrequietudine che qualche patito kraussiano la carichi sui tubi multimediali. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (22)

Un aiutino per Gustavo III

Il 1789 è l'anno del Balletto Fiskarena (i pescatori) e della Sinfonia VB 146 (Naxos, vol. 4), ma è anche l'anno in cui Re Gustavo di Svezia si trova in una bell'impasse. L'anno prima ha dichiarato guerra alla Russia e alla Danimarca, le cose si stavano mettendo benino ma, col tempo, il clero e la nobiltà non han più tanta voglia di sostenerlo. Oltretutto Gustavo batte cassa per finanziare il conflitto e, pur avendo il popolo dalla sua, non trova gli appoggi sperati. Decide allora di convocare il parlamento in marzo e far passare una legge che gli permetterebbe di superare l'intoppo. 


Kraus, sempre fedele al suo monarca, gli dà una mano scrivendo una "Sinfonia per la Chiesa", ma sarebbe più giusto e sensato chiamarla  "Sinfonia per Gustavo", in occasione dell'apertura del Parlamento svedese. Un'opera in cui si mescolano la musica, la politica e… Mozart, come vedremo più tardi. In un tempo solo (in un tempo e mezzo, diciamo, perché c'è anche un Andante maestoso introduttivo), questa musica celebra e strombazza la potenza, la forza e la maestà del regnante per mezzo di una fuga: Van Boer fa presente che la composizione è chiamata anche "Sinfonia con fugato" (in italiano nel testo). 



Pur avendo la stessa finalità di uno spot pubblicitario o di un messaggio elettorale, e per quanto sia  inquadrata in un contesto politico fin troppo condizionante e lontana dai grandi momenti delle sinfonie che la precedono, anche la Sinfonia VB 146 afferma una personalità notevolissima.    




L'introduzione di questa sinfonia in un tempo solo è anche la sua parte più affascinante, con una breve ma seducente melodia che verrà poi dimenticata nel fugato che segue, costruito sull'accordo discendente di re maggiore. Il tema  instaura subito un dominio su tutto il brano (pur lasciando spazi a diversi spunti che sembrano quasi rincorrersi tra loro) e rappresenta con ogni probabilità la maestà e la potenza di Gustavo III, come recita anche l'indicazione di tempo (Allegro maestoso, appunto). 

Anche l'orchestrazione asseconda questa ricerca della sontuosità: due flauti, due oboi, due fagotti, due corni in sol e altri due in re, due trombe sempre in re, timpani e archi. Alcuni effetti a sorpresa (cambi di tempo, un paio di rallentando intorno a 4:50 e a 5:30 che finiscono per fermare tutti gli strumenti) fungono da trampolino di lancio per ulteriori, efficaci contrasti. A complemento della sinfonia, però, c'è una sopresa: una marcia (Rijksdagsmarch VB 154), pure gentilmente incisa dalla Naxos (vol. 4, anche se noi scegliamo un'altra interpretazione). Il mozartiano e l'esperto d'opera lirica forse vi troveranno qualcosina di familiare:



Non si tratta di un errore o di uno scambio di compositore: è una delle marce dell'Idomeneo, la più grande opera seria di Mozart e (molto probabilmente) un dono di quest'ultimo a Kraus, che la rielaborò aggiungendovi una ventina di battute in più e rinvigorendo i passaggi più leggeri, sempre a scopo propagandistico. Sul Mozart forum, i due esperti mozartiani Dennis Pajot e Gary Smith non si lasciano sfuggire questo punto di contatto fra i due compositori e tentano un po' tutte le ipotesi possibili. 

Come faceva Kraus (considerando che lo spartito dell'Idomeneo venne pubblicato per la prima volta solo nel 1792) a possedere questa marcia e forse anche altro di quest'opera? L'aveva effettivamente ottenuta da Mozart, benché non ci siano pervenute lettere o altri documenti che attestino un loro incontro? Non c'era d'altronde bisogno di nero su bianco nel caso in cui l'atto della consegna fosse avvenuto nel 1783 a Vienna, quando i due abitavano a un tiro di schioppo l'uno dall'altro. Oppure era riuscita a procurarsela la corte svedese di passaggio a Monaco, dove l'opera era stata rappresentata? 

Che Mozart e Kraus si siano effettivamente incontrati e conosciuti (e che abbiano fatto amicizia) è però quasi sicuro se aggiungiamo anche questo: già ben prima, il 26 dicembre 1785, Kraus aveva scritto alla propria sorella Marianne queste parole: "Kennst du Mozarts Entfuhrüng aus dem Serail? Er arbeitet nun an seinem Figaro, eine Operette in 4 Aufzuhgen, worauf ich mich herzlich freue." (Conosci il Ratto dal Serraglio di Mozart? Adesso sta lavorando al suo Figaro, un'opera in 4 atti; me ne rallegro di cuore). 

Se conosceva l'Entfuhrüng, l'idomeneo (o quanto meno parte di esso) ed era informato sullo stato di avanzamento delle Nozze, doveva aver fatto conoscenza anche con il loro autore, specie in un'epoca dove la musica non circolava con la stessa facilità dei tempi nostri. Mica avevano i grammofoni o i CD, a quei tempi. 

Per la cronaca, questa era la marcia originale:


Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (21)


Il tema è una marcetta quasi distesa,ma queste variazioni sono ben lungi dall'essere solo ornamentali; alcune aggiungono anzi tocchi ironici (si veda la V e le sue acciaccature nel registro grave che sembrano parodiare il tema), altre rileggono il tema in chiave menomarziale e più dolce (la III), altre ancora sembrano solo ritoccare e abbellire argutamente la linea melodica per poi sprofondare in riflessioni molto più impegnative (vedasi l'imprevedibile e misterioso percorso della VI, che comincia normalissimamente e poi si avventura in una specie di sviluppo, spingendosi fino a una serie di pause inquietanti intervallate da accordi perentori).

Si intravedono mondi problematici e pieni di malinconia nella VII variazione, in minore, dove ormai il fraseggio è caratterialmente slegato dal tema e va avanti per conto proprio. Per contro,il ritmo di marcia viene arricchito con un'armonia in note puntate nell'VIII, l'ultima della serie, che sembra riportare la situazione alla normalità, ma un paio dinote sospese nel vuoto preavvisano l'ascoltatore: non è ancora tutto. Né il ritorno del tema iniziale, senza ripetizioni, rappresenta una semplice chiusura convenzionale perché una cadenza d'inganno introduce una coda pensosa che si fa strada su uno sfondo di note ribattute e poi si adagia tranquilla, terminando piano. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (20)

L'Adagio rappresenta un punto critico della Sonata: qui lo scontro tra l'anima classica e l'anima preromantica del compositore tocca l'apice. È diviso in tre parti (Adagio, Allegretto, Tempo I) e il tema principale è in effetti già molto avanzato per l'epoca, ma il ricorso alle pause nella parte centrale e finale dell'opera suona inaudito e risulta completamente nuovo. 

La struttura si fonda su tre soggetti portanti e presenta altrettante sezioni, una delle quali torna alla fine. Per molti versi il brano anticipa Schubert, specie per l'elaborazione molto ampia delle melodie; per contro, però, la terza sezione reca l'impronta dei concerti pianistici mozartiani e rappresenta il contraltare classico di tutto il pezzo. Alcune caratteristiche di questo Adagio (le conclusioni nel vuoto dello strumento e gli svolgimenti insistiti dei temi) torneranno nel Finale apparentemente più disteso.




Le due interpretazioni disponibili in rete sono molto diverse anche in questo caso: quella di Després (pianoforte) fa risaltare la modernità del tema iniziale ma non differenzia successivamente i vari episodi che seguono, mentre quella di Martinoli (fortepiano) rende meglio i contrasti pur lasciando sul brano una patina retrò che in ogni caso non è così marcata come nel I movimento. 

Il tema (A), molto cantabile e riflessivo, viene riesposto quasi subito in minore, accentuando la serietà tipicamente kraussiana che sarà appannaggio di tutto il movimento. Pezzi e bocconi del soggetto tornano in vari punti, opportunamente approfonditi e a volte interrotti da interventi bruschi (3:28 in Martinoli) con un contrasto che verrà subito sviluppato nelle battute seguenti a spese del tema principale stesso.  

5:00 ha inizio la sezione in Allegretto (B ), che oltre a essere naturalmente più vivace è una sorta di sorriso enigmatico che si spande su quello che precede. Anche qui abbiamo parti del tema che si staccano e vengono elaborati con cura haydniana. Il ritorno del soggetto iniziale non si risolve in una mera ripetizione, ma sfocia in un altro ampio "momento musicale" (C ) stavolta di carattere indubbiamente classico. Quasi ci si aspetterebbe una risposta dell'orchestra, ma è invece la tastiera a condurre avanti un discorso particolarmente dolce e affettuoso finché non ritorna, nettamente modificato, il tema (A) che qui conclude tranquillamente, quasi malinconicamente l'Adagio.

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (19)

L'ora del Fortepiano (3) 

Per Kraus il 1788 è l'anno della riscossa: riacquista presso Gustavo III una posizione di prestigio e la fiducia che aveva perduto a causa delle cabale ordite mentre si trovava in giro per l'Europa, a metà maggio fa rappresentare il Soliman II per la Regina Sofia Maddalena (un successo che rimarrà in repertorio fino al 1817 con 31 rappresentazioni) e scrive una signora Sonata per fortepiano, la VB 196 cui avevamo già accennato. Con questa meraviglia Kraus si scioglie dalle rivalità e dai gravami della carriera terrena e s'allontana con un colpo d'ala dalle miserie degli Abati Vogler e dei Dottor Forkel. 

C'è anche altro: forse la Sonata in mi è l'opera con cui Kraus più s'avvicina a Beethoven che, non va dimenticato, all'epoca non era ancora molto noto ed era alle prese con le sue prime composizioni; per intenderci, non aveva ancora scritto la Cantata per la morte di Giuseppe II, il suo primo capolavoro riconosciuto. Mozart componeva invece le tre ultime sinfonie e altre meraviglie nell'ambito della musica da camera, ma nella sonata per tastiera sola non si era mai spinto dove riesce ad arrivare Kraus con questo pezzo, al quale si può accostare piuttosto l'ultima sonata di Haydn in mi bemolle maggiore che vedrà la luce sei anni più tardi.

Il carattere moderno di questa musica si nota maggiormente nella versione per pianoforte Naxos che in quella più genuina, fortepianistica, della Stradivarius, ma se ascoltiamo i grandi al fortepiano troveremo anche loro più "arretrati" pure rispetto a se stessi:



Il movimento di apertura mostra già nei suoi temi di grande respiro un'ambizione che va al di là del primo Classicismo e delle sue formule. I tre soggetti (il terzo annunciato da quella che sembra una chiusura dell'esposizione) e la lunga transizione modulante in terzine si erigono come guglie e instaurano una Stimmung dolce, seria ed eroica che permarrà anche nel tempo successivo e non verrà rinnegata nel Finale. 

Anche l'impegno virtuosistico richiesto dall'opera supera di gran lunga la norma dell'epoca e della restante produzione kraussiana, specialmente nel complessosviluppo, che sgorga spontaneamente dal fondo dell'esposizione e riutilizza il primo tema al basso sotto le volate furiose della mano destra. Ci vorrà ancora un episodio un po' più sereno prima della ripresa, che stringe i tempi e accorcia le distanze fra i primi due temi, ma rielabora la transizione e conclude in sordina il terzo, preparando il campo per il pensoso e ancor più composito Adagio che segue. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (18)

L'ora del fortepiano (2)

Prima di affrontare il maggior capolavoro kraussiano per fortepiano solo, la Sonata VB 196 in mi maggiore, ci tocca fare un passetto indietro. C'è una piccola composizione del 1780, intitolata Zwei neue kuriose Minuetten (VB 190), ovvero "due nuovi e bizzarri minuetti" che può dirci qualcosa delle idee di Kraus sull'antico e sul moderno. 

Il titolo annuncia una parodia, perché all'epoca il minuetto ben poco aveva di "nuovo" (specialmente il primo dei due presentati in questa composizione) e abbiamo visto dalla struttura delle sinfonie di Kraus quanto egli lo ritenesse sorpassato, arrivando a espungere questa danza da una delle sue migliori opere (VB 142); le "bizzarrie" consistono invece nei volontari errori ritmici e armonici contenuti nelle due tapine danze.


Il doppio brano alludeva all'incompetenza compositiva del suo destinatario, Johann Nikolaus Forkel (biografo di Bach), che era in contrasto con Kraus dopo avergli stroncato il saggio "Etwas von und über Musik fürs Jahr 1777". Gli arcaismi del primo minuetto (si veda il basso) irridono ai minuetti del quaderno d'Anna Magdalena Bach, mentre le castronerie armoniche del secondo, le modulazioni ad mentulam canis e le formule oltremodo goffe (le note doppie ribattute e quella fuorviante conclusione che fa erroneamente presagire un seguito) puntano dritte a "irritare il destinatario e divertire il pubblico" (Van Boer). 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (17)

L'ora del fortepiano (1)

"Abbiamo tra le sue migliori composizioni per tastiera anche una sonata in re con accompagnamento di violino e violoncello, scritta per il piacere della corte mentre questa era in visita a Drottingholm". Così Silverstolpe ci descrive il Trio VB 171, scritto fra il 1787 e il 1788. Si presume che l'autore intendesse pubblicarlo e ci contasse anche molto perché il frontespizio del manoscritto era in francese, ed è una delle opere in cui il Mozart svedese più s'avvicina al Mozart austriaco, anche se più per il fraseggio che per la perfezione dell'insieme: il fatto che si parli di una "sonata con accompagnamento" ci rivela la predominanza del fortepiano; per il resto Kraus esordisce con un tema che ci ricorda le sonate mozartiane per violino scritte a Parigi e si mantiene su livelli se non altro discreti.


Dopo una Gavotta con variazioni presentata dal fortepiano, Kraus trova il capolavoro nel Finale (Ghiribizzo Allegro), dove alla curiosa indicazione sullo spartito fa riscontro una struttura effettivamente bizzarra nonostante l'inizio faccia pensare al più semplice dei rondò e poi a un pezzo bitematico (tsk tsk, previsioni entrambe sbagliate). Anche qui la tastiera parte da sola, poi seguita dai suoi due accompagnatori:


D'una finezza davvero mozartiana, questo brano infila un'arguzia sull'altra: rallentamenti, pause nel vuoto, accenni ritmici del violino solo, intermezzi fugati con inversioni, false strofe e umoristici sbalzi in minore. Inutile cercare di cogliere qui la consueta disposizione Esposizione - Sviluppo - Ripresa: toglierebbe anzi gusto alla burla, che prorompe alla haydniana verso la fine (da 2:05) e nella conclusione a sorpresa. In questo felice Ghiribizzo Kraus ha riunito le due anime migliori del '700, scrivendo però in modo assolutamente originale. 

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (16)

K. alla riconquista della Scandinavia

Il ritorno a Stoccolma è funestato dalla presenza e dall'attività di quel Georg Vogler, autentica peste musicale dell'epoca, che pur avendo poco da spartire coi grandi si metteva di traverso come pochi. Ma procediamo con disordine: il lavoro non manca (e questa è una benedizione), ma le mansioni affidate a Kraus in questo periodo occupano il compositore a tal punto da costringerlo a sacrificare la sua creatività (e questo è un male) per riformare il teatro e l'orchestra locali.

Per il momento sgobba, dunque, ma può almeno permettersi il lusso di arricchire con brani propri le opere e i balletti che mette in scena e ha modo di farlo per la prima volta con l'Armida di Gluck, autore del quale Kraus è un fan accanito, come s'è detto. Riochestra l'opera assecondando il gusto del pubblico svedese e ci aggiunge un paio di ballabili:








E qui Vogler ci si mette di mezzo perché anche un suo spartito, scritto in questo periodo, riporta pari pari le stesse note di queste due danze. Quasi certamente il plagio è suo, perché lo stile - come ci conferma Van Boer, da cui prendo alla grossa la maggior parte delle mie informazioni - "con il suo contenuto Sturm und Drang" è certamente kraussiano e l'Abbé Volger non era certo nuovo a prodezze di questo genere. Per "contenuto Sturm und Drang" intendi il fiero sol minore del secondo brano (1:54).

Forse proprio in questo periodo di relativa stasi compositiva esce fuori la Danza svedese VB 192. "Più vicina al 1788 che al 1778, e in do maggiore, consiste in una serie di tre brevi variazioni su un moto perpetuo camuffato da danza. Perché l'ha scritta, visto che di norma il compositore se ne infischiava queste melodie popolari? Ma forse perché intendeva far concorrenza al suo rivale, l'Abbé Vogler [rieccolo], temendo che questi volesse soffiargli il posto a corte. L'Abate, infatti, era famoso per le sue trascrizioni di melodie "popolari" (comprese certune che, a suo dire, provenivano dalla Groenlandia e dalla Cina)" (Van Boer).





Con uno come Vogler c'era poco da stare allegri, in effetti, ma non certo sul piano compositivo.