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lunedì 25 marzo 2024

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (14)

Mi dicono dalla regia (Wikipedia) che Kraus si trasferisce a Parigi nel giugno 1784. Le notizie sulla sua permanenza francese finora raccolte non sono molte, ma si può dire che è stata ricca di soddisfazioni: è in questo periodo che vengono pubblicati alcuni dei suoi quartetti per archi e al Concert Spirituel vengono eseguite le sue sinfonie in re VB 143 e in mi minore VB 141.





Il suo rapporto con gli editori, però, non è sempre fortunato: come abbiamo visto, un altro paio di sue sinfonie vengono pubblicate sotto i nomi di Haydn e dell'assai poco meritevole Cambini, all'epoca popolarissimo in Francia. Altre opere di questo genere, scritte a Parigi in vista di una pubblicazione e catalogate come VB 207, sono probabilmente sinfonie che abbiamo già ascoltato o ascolteremo e che proprio per la disonestà degli editori sono state attribuite a diversi autori.

Proprio la VB 145 (vol. 4 Naxos), che ci accingiamo a esaminare, appartiene infatti "a un gruppo di tre sinfonie la cui autenticità è fortemente sospetta" (Van Boer). Le altre due sono appunto la Sinfonia in mi minore (VB 141), "chiaramente di Kraus e non di Cambini" e la terza (VB A/6) "è stata attribuita a un altro compositore francese, Prosper-Didier Deshayes", ma "probabilmente anche questa è di Kraus" (su quest'opera mi riprometto di fare ulteriori ricerche). Van Boer ipotizza che le tre composizioni fossero quelle cui si riferiva Hofstetter quando parlava di un gruppo di sinfonie scritte a Parigi tra il 1784 e il 1786, appunto quelle che sono state inserite, come VB 207, tra le opere perdute.

La VB 145, a dire il vero, è la meno kraussiana tra le sinfonie finora analizzate. Non inganni la presenza dell'introduzione lenta (Largo maestoso) che in precedenza aveva sempre schiuso all'ascoltatore un mondo rapinosamente nuovo. Mai come in questo caso, anzi, Kraus si è più avvicinato a quella che si potrebbe considerare una sinfonia secondo la moda, cosa che d'altronde aveva fatto anche Mozart con la Parigina KV 297.







L'orchestra è come di consueto nutrita (flauto, due oboi, due fagotti, due corni e gli archi). I ritmi puntati e i trilli cerimoniosi dell'introduzione, il ritmo in 3/4 dell'Allegro vivace, inequivocabilmente danzante, e alcune caratteristiche del flusso melodico denotano un'atmosfera più festosa e meno riflessiva. Tratti più kraussiani si riconoscono invece in altre zone di questo primo tempo: il secondo tema irruente, gli interventi puntuali dei fiati, l'inizio dello sviluppo in minore che quasi finisce per seppellire il metro in 3/4.

La lunghezza del movimento non deve stupire: è dovuta alla ripetizione tanto dell'esposizione quanto dello sviluppo con conseguente ripresa, fatto che in precedenza non si era ancora nelle sinfonie dell'autore.





Il secondo tempo (Larghetto amoroso e semplice) è strutturato sotto forma di tema e (pseudo)variazioni: come ci spiega Van Boer, si tratta di "un incrocio tra una gavotta e un rondò: il lirico tema principale torna tre volte in tutto, ogni volta arricchito da contromelodie dei flauti e degli oboi, ed è intervallato da episodi di forte contrasto dinamico e tematico". Qui l'incontro con Haydn (e, si presume, con la sua musica) può aver dato i suoi frutti, perché siamo in presenza di un'altra melodia-canzonetta che, se non eguaglia quelle dell'eccelso collega, rappresenta comunque un bell'esempio.





Allegramente mosso, il Finale (Presto) ci riporta con la sua giocondità misurata ai tempi della Sinfonia buffa, ma con qualche arguzia in più. Di fatto è una giga, ma dal primo soggetto in poi tutto il discorso è moderno e saettante, e nella seconda parte dello sviluppo i fiati salgono per un breve momento alla ribaltà con una nuova melodia.

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