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lunedì 25 marzo 2024

Grandi contemporanei: Joseph Martin Kraus (5)

Quando Kraus scrive quest'opera (VB 140 in do# minore, vol. 3 Naxos), il suo viaggio (pan)europeo non era ancora cominciato. Siamo sì nel 1782, ma ancora a Stoccolma, dove l'ambiente musicale – come si è detto – non era lontanamente paragonabile a quello di altre capitali europee come Parigi, Vienna, Londra.

Tanto più travolgente e significativa appare dunque la portata di quest'opera, a dimostrazione del fatto che Kraus, pur giovandosi delle future nuove conoscenze in campo musicale, era in grado di cavarsela da solo, come già aveva fatto nelle due sinfonie appena precedenti.








Per la terza volta consecutiva Kraus comincia una sinfonia con un'introduzione lenta (Andante molto). Questa scelta fa spesso pensare a Haydn, ai suoi incipit solenni che spesso si protraggono per un tratto considerevole del primo movimento, e a volte si riaffacciano anche alla fine (penso ad es. alla sinfonia 103).




E fin qui tutto bene. Il problema, o la meraviglia, è che in Kraus il senso dell'introduzione è profondamente diverso da quello che troviamo in Haydn, il quale non si pone mai questioni insolubili o, quando se le pone, le aggira almeno in parte come avviene appunto nella sinfonia appena citata (si oda il tema del primo Allegro dopo l'introduzione lenta), concludendo poi l'opera col fischio e col botto, in tutta spensieratezza.

Kraus fa esattamente il contrario: instaura un clima fosco e ineludibile che avvolge tutta l'opera: una sorta di chiusura ermetica a qualsiasi consolazione, quasi fosse un Leopardi musicale ante litteram. È il caso proprio di questa sinfonia, dove la tonalità pende fin dalla prima battuta a fa# minore, si tessono dissonanze stranianti e il ritmo prefigura il Recordare Jesu Pie del Requiem mozartiano. Un'incantevole inquietudine.

L'orchestra tenta di scuotersi (1:02) con una frase trillante prima di arrendersi poco più avanti, ma è verso la fine di questo prologo che troviamo la vetta: quelle splendide e desolate meditazioni modulanti che conducono a una cadenza sospesa, sapientemente prolungata, e quindi all'Allegro (2:00).

Questa seconda parte del movimento è una battaglia in piena regola contro la sconfitta sancita dall'introduzione. Anche il secondo tema è più teso che rasserenante, in nome di un'unità superiore e gelosamente conservata da Kraus non solo qui, ma anche in gran parte del suo repertorio sinfonico.

Lo sviluppo fa altrettanto, giocando su alcune porzioni dei temi che abbiamo udito e su una rielaborazione del secondo di questi in particolare. Stavolta non abbiamo intuizioni visionarie, ma una forma sonata fieramente classica (c'è ancora il clavicembalo a far da basso continuo e talvolta in bella evidenza, per dire. Tuttavia, a parte questo, di barocco non c'è proprio nulla).




È poi la volta dell'Andantino in 3/8, che riprende nell'incedere, coi suoi registri gravi e acuti alternati (ma con un carattere più tranquillo) l'introduzione ascoltata al principio della sinfonia. In ogni caso questa musica non ha sorrisi da dare, anzi a un bel momento si ferma (2:50) e poi riprende improvvisamente con una frase oscura che ci riporta per alcuni secondi alle atmosfere cupe del primo tempo. Siamo di fatto già alla conclusione, con il rassegnato periodare di un'orchestra ridotta ai soli archi e al cembalo (la strumentazione prevedeva anche i flauti e i corni).



I due minuetti che costituiscono il 3° movimento saranno espunti dalla futura versione, segno che Kraus, pur avendo composto alcuni balletti, non indulge alle danze nelle sue sinfonie. Possiamo poi notare che, nella sua produzione, per i trii va anche peggio: in tutto il suo corpus sinfonico ne figura addirittura uno solo (quello della VB 128, ovvero della prima sinfonia, e poi basta).

Per di più, questi minuetti non si lasciano andare a facili ritmi meccanici né a gioiose esclamazioni alla Haydn. Il primo dei due, in mi maggiore, può parere impettito e un po' vecchia maniera nei suoi moti iniziali, ma compare subito una frase esitante, quasi affannata, a riportare quei dubbi che già l'Adagio aveva insinuato su qualsiasi momento distensivo di quest'opera. In realtà la natura un po' meccanica del tema la spiega una nota del catalogo di Van Boer ("The first menuet is composed as a palindrome"; purtroppo, in rete non si trova lo spartito per verificarlo).

Il secondo minuetto, che parte quasi fosse un prosguimento naturale del primo, rimette in campo la tonalità di base e conferma una volta per tutte quella serietà cui è improntata non solo tutta la sinfonia, ma pressoché tutta la produzione sinfonica kraussiana. Solo CPE Bach, ma con esiti di gran lunga inferiori, scriverà opere altrettanto impegnate, mentre Mozart e Haydn, più vicini a una musica d'intrattenimento, ne comporranno più che altro nell'ultima parte della loro carriera.




Dopo le scivolose esitazioni del doppio minuetto, Kraus dà il via a una corsa entusiasmante degli archi che, essendo ormai ristabilito in pieno il do# minore, può avere una conclusione sola. È un Beethoven al contrario, o meglio con esiti contrari a quelli conquistati da Beethoven, quello che ascoltiamo in questo Allegro: indomito, ma alla fine battuto irrimediabilmente nonostante un secondo tema più che eroico e quasi trionfale; proprio questo soggetto, anzi, nella ripresa, in base alle regole della forma sonata, si trasformerà nel sigillo della sconfitta una volta rivoltato in minore.

Kraus mette dunque in scena una riscossa veemente contro i turbamenti e il tono depresso dei tempi meno mossi, ma si tratta di una ribellione che, pur nel suo ardimento, e in uno spirito Sturm und Drang che magistralmente ci attira e ci affascina, non può sfociare in una vittoria.

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