Vitellia è particolarmente fortunata perché, come abbiamo appena visto, le spetta il pezzo forte dell’opera, il rondò “Non più di fiori”. Di fatto è l’ultima aria mozartiana scritta per un’opera lirica (da lì in poi avremo una marcia con coro, il recitativo accompagnato di Tito e il sestetto finale). Nel couplet “Infelice, quale orrore” ci godiamo un anticipo del Concerto per clarinetto KV 622 e il tema del rondó, dopo questa citazione che accelera il tempo del pezzo, ritorna come da copione, ma a velocità doppia e con altro intento espressivo.
Prima Vitellia si pente, riflette, rimpiange, poi decide e si appresta risolutamente al sacrificio con questa accelerazione del tema.
Prima Vitellia si pente, riflette, rimpiange, poi decide e si appresta risolutamente al sacrificio con questa accelerazione del tema.
Vien trattato bene anche Sesto, cui è dedicata la celebre aria con corno di bassetto obbligato “Parto, ma tu ben mio”, e poco più avanti un recitativo accompagnato (“Oh Dei, che smania è questa”), solo per citare le bellezze più evidenti.
Ad Annio e Vitellia, personaggi in penombra, toccano rispettivamente la partecipazione a duetti e terzetti di splendida levatura (“Deh prendi un dolce amplesso”, “Vengo… aspettate”) e la graziosa aria “S’altro che lagrime”. A proposito del duetto “Deh prendi un dolce amplesso”, si noti come un’esecuzione molto rapida faccia assomigliare il pezzo a una danza tedesca. Il Paumgartner notò la sua affinità con l’atmosfera del singspiel e aveva ragione, perché il brano potrebbe stare benissimo all’interno del Flauto Magico senza che si avvertano squilibri o fratture col resto.
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