Ma dicevamo dei cori, una vera e propria scoperta perché, prima del Thamos, Mozart se n’era occupato pochino (salvo nei convenzionali finali d’opera). Per quanto la solennità del primo (“Schon weichet dir, Sonne”, in seguito riutilizzato con destinazione religiosa) sia ancora generica, la maestria e l’ingegno dimostrati nel costruire questa musica sono già di caratura superiore. Opera lontanissima dalla contemporanea Zaide (KV 344), nel trattamento delle voci rivela la stessa abilità compositiva:
Tornando allo smagliante colore orchestrale, il sipario che s’apre su un do minore sempre vivo, ma tendente al mi bemolle (al punto da modulare quasi subito a questa tonalità), ci mostra un Mozart totalmente cambiato rispetto alle sue sinfonie, compresa la Piccola in sol minore. La sinfonia tratta dal Thamos non è infatti leggera né tragica:
Il ritorno del secondo tema in do minore rispetta in pieno le norme della forma sonata, ma è notevole la sua imperturbabilità rispetto a quanto lo precede: il mi bemolle che torna do minore non perde le sue caratteristiche positive, mantenendo una fierezza che non è lontana parente di quella beethoveniana.
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