Normalmente la voce è uno strumento musicale ben più complesso degli altri: per fare un paragone geometrico, è come se fosse una figura tridimensionale mentre il pianoforte, il flauto, il clarinetto, il violino eccetera potrebbero essere considerati “a due dimensioni”. La voce umana ha insomma più flessibilità nell’esprimere i sentimenti e, potendo scandire parole anziché dei suoni, può rendere il carattere d’un personaggio e le sue sensazioni meglio di un’orchestra al completo.
Nell’opera seria non pare fosse così. Voci e strumenti si prendevano la loro spettanza di passaggi virtuosistici, e le prime si esibivano come se il testo fosse una sorta di tappeto sul quale modulare la rappresentazione di un affetto, alternandosi spesso con i secondi durante le arie, eseguendo frasi identiche senza aggiungervi un filo d’espressione in più. In Mozart, finché non si cambia letteralmente musica con il singspiel o con le opere dapontiane, non è che le cose stiano tanto diversamente.
Del Lucio Silla il critico Einstein afferma che “Vi avrebbe potuto trovare materiale per una dozzina di sinfonie”. Correggiamo lievemente sostituendo a “sinfonie” il termine “concerti”, perfettamente equivalente per struttura e andamento alle arie dell’opera, e avremo centrato il punto. Tanto più che il primo tempo del Concerto per violino KV 216 ritorna nelle sue caratteristiche essenziali (tema principale compreso) nella seconda aria del Re Pastore, e se analizziamo moltissimi dei numeri appartenenti alle opere serie giovanili abbiamo altrettanti tempi da concerto: esposizione orchestrale, entrata del solista (ossia della voce), secondo tema – che poi corrisponde alla seconda strofa del testo – ritorno del primo e cadenza conclusiva prima che l’orchestra riprenda la linea.
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