Ed eccoci giunti di fronte alla seconda (se prendiamo come riferimento l'edizione più recente del catalogo Koechel), alla terza (se contiamo come mozartiana anche la Sinfonia Odense) o alla quarta sinfonia di Mozart (se invece ci riferiamo alla prima edizione del catalogo): la KV 19 in re maggiore.
Qui Mozart rimette in campo i corni, come nel K 16, ma senza sfruttarne affatto le caratteristiche come nel suo primo esperimento sinfonico, e lascia agli archi i compiti più impegnativi come si intende fin dalle battute immediatamente successive all'accordo iniziale. L'esordio, felicissimo, cede il passo a frasi più generiche, di circostanza, alternate a qualche sorpresina come il bel passaggio in minore dopo un km e la cadenza d'inganno (o qualcosa di simile) alla fine di quella che dovrebbe essere l'esposizione, che invece prosegue un po' per conto suo e perde spesse volte il filo.
Questo primo tempo rappresenta insomma un passetto incerto verso le vette delle ultime tre sinfonie, un'opera nella scia delle galanterie di JC Bach, dove la forma sonata - a sentire il Della Croce, inviperito con Wolfie nel caso in questione - è stata mollata a casa almeno fino alle soglie dell'ultimo movimento. E i critici masticano oltretutto amaro perché, con quell'inizio a corni spiegati, si aspettavano i fischi e i botti almeno nello sviluppo.
Il bellissimo tema dell'Andante ci porta a percorrere sentieri affascinanti e fa subito presagire la vena del grande operista che Mozart vorrà sempre e saprà presto essere. Si capisce che siamo ancora ai minimi termini come dimensioni (all'epoca la sinfonia era intrattenimento allo stato puro, senza pretese di grandezza), ma il compositore ha le idee già ben chiare e a un bel momento piazza anche una falsa ripresa che ci informa al volo di due cose:
a) che la voglia di scrivere musica non manca;
b) che i ferri del mestiere ci sono già tutti.
Unica pecca del movimento, la sua brevità, ma potremmo già essere tranquillamente nel mezzo di una delle migliori sinfonie di JC Bach, ottimo autore del genere.
Arrembante, poi, il Finale, che conferma il bel livello su cui Mozart si è assestato nel tempo precedente. Si fa presto a pensare "ad maiora", però consideriamo l'età del mister e magari ci penseremo due volte prima di sputare sul latte versato.
Questo primo tempo rappresenta insomma un passetto incerto verso le vette delle ultime tre sinfonie, un'opera nella scia delle galanterie di JC Bach, dove la forma sonata - a sentire il Della Croce, inviperito con Wolfie nel caso in questione - è stata mollata a casa almeno fino alle soglie dell'ultimo movimento. E i critici masticano oltretutto amaro perché, con quell'inizio a corni spiegati, si aspettavano i fischi e i botti almeno nello sviluppo.
Il bellissimo tema dell'Andante ci porta a percorrere sentieri affascinanti e fa subito presagire la vena del grande operista che Mozart vorrà sempre e saprà presto essere. Si capisce che siamo ancora ai minimi termini come dimensioni (all'epoca la sinfonia era intrattenimento allo stato puro, senza pretese di grandezza), ma il compositore ha le idee già ben chiare e a un bel momento piazza anche una falsa ripresa che ci informa al volo di due cose:
a) che la voglia di scrivere musica non manca;
b) che i ferri del mestiere ci sono già tutti.
Unica pecca del movimento, la sua brevità, ma potremmo già essere tranquillamente nel mezzo di una delle migliori sinfonie di JC Bach, ottimo autore del genere.
Arrembante, poi, il Finale, che conferma il bel livello su cui Mozart si è assestato nel tempo precedente. Si fa presto a pensare "ad maiora", però consideriamo l'età del mister e magari ci penseremo due volte prima di sputare sul latte versato.
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