Dopo l'Oca del Cairo Mozart ritenta senza indugio la via dell'opera buffa cominciando a musicare il libretto di un autore ignoto. E ci mette tutto l'entusiasmo che ci si può aspettare da un compositore giovane che anela a scrivere un capolavoro teatrale. Dopo un'ouverture degna delle sue migliori, Mozart ne riutilizza i temi per introdurre (senza soluzione di continuità) un quartetto che non sfigura davanti ai capolavori già ascoltati nell'Idomeneo e nel Ratto:
Questa vena rimarchevole si mantiene nel complesso anche nelle Arie seguenti ("Nacqui all'aria trionfale", "Dove mai trovar quel ciglio?") e in un Terzetto che, disgraziatamente, resterà l'ultimo pezzo scritto da Mozart per quest'opera, che poi abbandona in vista - pare - di progeti più sostanziosi. Bisognerà aspettare le Nozze di Figaro (ben tre anni di tempo) per ritrovare il compositore alle prese con un'opera, nonostante i grandi lavori che han già visto la luce e i preziosi brani staccati che scriverà nel frattempo.
Del tutto atipico l'inizio del quarto divertimento mozartiano, il KV 186 per strumenti a fiato. Il tempo è infatti in 3/4, ma è soprattutto il ritmo di valzer a sorprendere l'ascoltatore, nonostante il materiale tematico trascurabile. Il Minuetto (2:02), più solidamente costruito, è perfettamente settecentesco nel suo incedere meccanico, ma più cantabile nella seconda sezione e soprattutto nel Trio:
L'Andante successivo (4:23) sembra quasi introdurci nelle scene d'opera e anticipa lontanamente l'atmosfera presente nelle arie di Don Ottavio. Quasi religioso, invece, l'Adagio (6:48) che sembra ormai distante mille miglia dal frivolo inizio di questa composizione. L'Allegro finale (9:15) è relativamente esteso e, con i suoi 2/4, crea un nuovo stacco rispetto ai movimenti precedenti.
Nello spazio non piccolo che intercorre tra il Ratto e le Nozze di Figaro, Mozart compone due frammenti d'opera: l'Oca del Cairo (KV 422) e lo Sposo deluso (KV 430), variamente giudicati dalla critica. In entrambi i casi, fortunatamente, Mozart ha almeno "fatto in tempo" a comporre dei concertati prima di abbandonare la stesura.
Se il livello generale non è lo stesso delle due opere maggiori menzionate, gli esiti raggiunti sono ad ogni modo degni di nota. Nell'Oca del Cairo spicca il Finale del I atto, uno dei più lunghi mai composti da Mozart:
Molte e pregevoli le sezioni di questo brano chilometrico (ne sono state individuate otto, secondo Erik Smith), che anticipa in più punti i Finali delle Nozze, oltre a possedere un ritmo serrato e alcune felici idee melodiche (per quanto la caratterizzazione dei personaggi sia ancora scarsa).
E ora si passa dagli astri ai bassifondi della musica classica: il carneade Cambini (1746-1825) alle prese con una Concertante per oboe e fagotto dalle scarse attrattive. Dove Mozart e Haydn allietano l'ascoltatore con i loro colpi d'ala e l'unità delle loro composizioni, Cambini riesce a fare soprattutto confusione e a ottenere effetti timbrici e sviluppi melodici modesti. Il mestiere certo non manca, ma è anche l'unica cosa che sostiene questo compositore che pure ebbe una certa fortuna a Parigi.
Ben più sostanziosa la qualità melodica della Sinfonia concertante di J.C. Bach qui presentata (per violino e violoncello), soprattutto in questo piacevole rondò di marca palesemente premozartiana:
La Sinfonia concertante di Haydn, pur di buon livello, ha lasciato perplessi alcuni critici. Tra questi, Sternfeld e Wellesz, che nel loro libro sulla Sinfonia e il concerto nell'età illuministica hanno osservato, tra l'altro, che...
"L'autografo della Symphonie concertante in si bemolle rivela una fretta insolitamente frenetica, pur tenendo conto che la scrittura di Haydn è tipicamente frettolosa e abbreviata. Nessuna edizione esistente ha pienamente risolto le incoerenze di questo autografo, che hanno spinto i revisori a risolverle in modo insoddisfacente [NdA: Il solo testo valido è quello della prima partitura tascabile, a cura di Christa London, London 1969], ma è evidente che questo lavoro relativamente tardo (1792) non è allo stesso livello delle sinfonie del medesimo periodo.
L'unità, essenziale secondo i concetti di Haydn, è resa più frammentaria in un concerto per quattro solisti che in un concerto per uno solo. Nello sforzo di raggiungere l'unità tra il solo e il tutti, Haydn colloca i solisti nella sezione finale del tutti orchestrale. Ma il risultato è ambiguo, perché i solisti suonano strumenti che già si trovano nell'orchestra. (Mozart omette i clarinetti dall'orchestrazione del suo Concerto per clarinetto.)"
Del secondo movimento restano un tema molto semplice, un'atmosfera dimessa e un'elaborazione incessante. Come sempre Haydn parte con una melodia sola e la spreme oltre i limiti del possibile. Tuttavia questo è il brano meno interessante dell'opera. Molto più originale è il terzo tempo con i suoi richiami al mondo operistico, genere peraltro non prediletto dall'autore:
Dopo l'inizio trionfale, il violino solista si esibisce in un recitativo interrotto a più riprese dall'orchestra prima di esporre il tema vero e proprio, una giravolta esultante. Inutile inoltrarsi in analisi formali, meglio godersi questo Finale che sta pienamente alla pari con le eccellenti Sinfonie haydniane coeve.
Riprendiamo la rassegna delle sinfonie concertanti reperibili in rete per completare il quadro di un genere che, pur nato in Francia, raggiunse i suoi migliori esiti in Austria e in Germania. Tra oggi e i prossimi giorni ascolteremo tre esempi, due di buon livello (Haydn e J.C. Bach), uno piuttosto deludente (Cambini, autore che entrò forse in contrasto con Mozart proprio ai tempi della mancata esecuzione della Concertante per fiati).
La Sinfonia Concertante di Haydn per oboe, fagotto, violino e violoncello è un'opera scritta nel 1792 da un compositore in auge, gratificato dal successo delle prime Londinesi. Pare che questo genere di composizione fosse caro ai Londinesi grazie ai precedenti esempi di Johann Christian Bach, ex idolo della folla inglese musicofila e pregevole sinfonista. Quest'opera, che pur non raggiungendo il livello delle sinfonie haydniane coeve venne ammirata dal pubblico, ha in ogni caso dei momenti splendidi.
Si noti che in orchestra sono presenti gli stessi strumenti che compaiono in scena come solisti, cosa che (come vedremo) è piaciuta pochino ad alcuni critici.
Il primo tempo è basato su un tema solo, fatto frequente in Haydn e molto raro in Mozart (che lo utilizzò addirittura a fini parodistici, in un caso, vale a dire nella Sinfonia KV 129 in sol, o con intenti ben più seri come nel Trio KV 502). Il tema viene naturalmente manipolato a lungo, prima dall'orchestra (1:33 di esposizione) e poi dai solisti (più di due minuti e mezzo), spezzettandosi in vari spunti, tra i quali spicca un sottotema (0:40) che avrà qualche importanza nel corso del brano.
Orchestra e fiati si dividono con relativa equità il materiale, ed è la prima ad avere le parti più trascinanti, mentre l'eloquio dei solisti è più raffinato ma meno avvincente. Rispetto alla Concertante mozartiana, si nota dunque un maggior equilibrio.
Lo sviluppo comincia a 4:10, anche se si sarebbe potuto considerare tale già la seconda esposizione, vale a dire quella dei fiati, in cui il tema era trasformato considerevolmente rispetto alla sua prima comparsa. Ci si sarebbe aspettati una nuova melodia, in modo da conferire al pezzo un carattere più vario: si riparte invece da capo con lo stesso soggetto dell'incipit, che può ricordare altre sinfonie monotematiche (la 58 valga come esempio per tutte) e non ha di per sé nulla di particolare, neppure la fierezza di quello che apre la Concertante mozartiana con la sua sequenza accordale, ma suggerisce a Haydn considerazioni in musica sempre nuove. Anche la conclusione dell'orchestra prima della ripresa è sensibilmente diversa da quella con cui era terminata l'esposizione.
Nella ripresa (5:21) torna, in minore, il sottotema incontrato all'inizio, quasi a ribadire la monolicità di questo movimento, e il passaggio di modalità non è che una delle tante risorse per alimentare l'inventiva del compositore. Si giunge così alla cadenza (7:34), pure tutta incentrata sul materiale melodico finora ascoltato, e alla conclusione (8:59) che ricalca, com'è di prammatica, la frase finale dell'esposizione.
Nell'ultimo movimento Levin opera un'altra modifica radicale: via il ritornello orchestrale (in effetti un po' ridondante) alla fine di ogni intervento dei solisti; in compenso ogni variazione viene ripetuta in tutte le sezioni, con l'effetto di allungare la durata del movimento rispetto alla versione manoscritta:
Privata del suo stacchetto ricorrente di chiusura, l'orchestra si limita a sostenere l'impalcatura armonica lasciando il campo aperto al concertino. Ciò contrasta apertamente con il nome della composizione (Sinfonia concertante), che sarebbe sì destinata a un gruppo di solisti, ma anche a un complesso orchestrale, riducendola quasi a una serenata o a un divertimento per fiati.
Levin modifica e accorcia anche quell'intermezzo lasciato agli archi verso la fine dell'opera (è uno dei pochi interventi orchestrali in questa versione, subito accantonato per fare spazio a una cadenza dell'oboe - ce ne sarà un'altra del flauto più avanti, nel vaudeville conclusivo).
Dopo i tre divertimenti/sinfonie KV 136-138, Mozart riprende questo genere limitandosi, per la prima volta, a scrivere solo per strumenti a fiato. Una scelta che in un futuro nemmeno troppo lontano darà alla luce le tre grandi Serenate KV 361, 375 e 388, ma per il momento non pone troppi problemi sotto l'aspetto formale e si presenta quasi come una composizione rilassante, tanto per l'autore quanto per l'ascoltatore:
Dopo questo I tempo giocoso e innocuo abbiamo un minuetto dal tema quasi parodistico per i suoi continui botta e risposta di sorridente meccanicità:
A un andante grazioso punteggiato dal fagotto (http://www.youtube.com/watch?v=MYxJWjWp_q8) fa seguito un tempo brevissimo e più raccolto (Adagio), prima dello spigliato Finale haydniano con le sue note ribattute (1:19):
Anche nelle sue opere convenzionali Mozart fa capire chi è: se non ci sono i concertati, da sempre suo potente mezzo di caratterizzazione musicale (come si è visto), un altro tipo di numero operistico può tornare utile per ovviare alla fissità delle arie e delle strutture barocche ancora ben vive nell'opera seria e in molti altri generi minori (per esempio le serenate teatrali): il recitativo accompagnato.
Non si tratta di una via di mezzo vera e propria tra il recitativo secco, puro racconto dell'azione, e l'aria, espressione di uno o più sentimenti del personaggio in scena, bensì una sorta di analisi psicologica di quel che gli passa per la testa e per l'anima. Fin dai suoi primi lavori teatrali il genio mozartiano si rivela in questa particolare modalità compositiva:
Qui Mozart introduce una cavatina nella sua prima opera seria (Mitridate) imprimendo all'orchestra un movimento agitato, e pazienza se il linguaggio è ancora quello barocco, con terzine, volate, trilli minacciosi; la potenza espressiva è già pienamente personale, la mano è quella d'un'operista nato e già cresciuto. Notevole è anche l'aria, che mantiene viva questa tensione fino al termine, dove il recitativo accompagnato sorprendentemente riprende.
Vedremo successivamente altri esempi di recitativi accompagnati giovanili che rivelano nuovamente queste capacità, prima di passare a quelli più noti.
La bella Cantata massonica "Dir, Seele des Weltalls", KV 429, si compone di due pezzi completi solo per la linea vocale e per il basso, qua e là orchestrati, nonché di un terzo brano interrotto alla 17° battuta, di fatto quando interviene la voce.
Se i primi due brani (un coro maestoso, scintillante e una quieta aria per tenore), agevolmente ricostruiti, funzionano perfettamente anche da soli, il terzo (e quelli che si suppongono essere gli altri numeri mancanti di questa Cantata) sono stati completati da un autore austriaco contemporaneo, Rainer Bischof, nientemeno che nel 1991:
Non ci trovate qualcosa di strano? Di fatto solo la parte abbozzata da Mozart è presente (comprese le 4 misure in cui il tenore ha voce in capitolo), ma Bischof è intervenuto "dodecafonicamente" anche in quelle prime 17 battute, inserendo altri strumenti che suonano in barba alla tonalità d'impianto, e poi ha continuato a modo suo, sempre alla moderna. Un intervento che trovo sgradevole, ma che permette se non altro di ascoltare quel poco che Mozart aveva effettivamente messo in partitura.
Non contento, Bischof ha aggiunto anche un Recitativo (che stavolta è tutto suo):
Il Coro iniziale chiude poi la Cantata, senza ulteriori interventi da parte di questo curioso revisore.
Difficile ascoltare l'Adagio e Fuga KV 546 senza pensare a Bach, anche se con quest'opera Mozart dimostra che sono ormai lontani i tempi delle fughe per Konstanze che restavano regolarmente incompiute e denunciavano l'evidente influsso di un autore che era fin troppo scopertamente preso a modello.
Con l'Adagio e Fuga abbiamo infatti non un pezzo "neobarocco" ai tempi del Classicismo, bensì un brano compiutamente classico e persino inquietante. Non è neppure un salto sul carro dello Sturm und Drang o un'iniezione più o meno salutare di preromanticismo; anche i figli più audaci di Johann Sebastian (Wilhelm Friedemann e Carl Philipp) non hanno parte in questa composizione che chiaramente non è rivolta al pubblico, e rappresenta di fatto l'ampliamento di un'opera precedente, la Fuga per due pianoforti KV 426.
In genere l'Adagio e Fuga si esegue con l'orchestra per esaltarne la potenza e l'impetuosità, che sotto certi aspetti ricorda Beethoven. Tuttavia Mozart concepì questo dittico per quartetto d'archi, ottenendo un effetto ancor più sinistro e singolare:
Ultimo dei tre divertimenti-sinfonie per archi, il KV 138 non si discosta dalla cantabilità degli altri due: aperto da un tema quasi rudimentale, da esercizio pianistico, che ricorda le note staccate udite all'inizio del Finale del KV 137, si abbandona poi subito a una melodia ben più sinuosa e riconducibile alla muscialità mozartiana.
Di fatto, come nota il Della Croce, non c'è un secondo tema, sostituito da leggiadre figure melodiche che non assumono un'importanza tale da contrastare il primo. Così per lungi tratti si ha quasi l'impressione che la musica scorra ininiterrottamente, senza arrestarsi per via delle cesure imposte dalla forma-sonata.
Le dimensioni ridotte dei movimenti esaltano la compattezza e la stringatezza dell'opera, che anche nell'Andante mantiene un misurato lirismo con un'altra melodia che potrebbe star bene a teatro. Il movimento riprende una delle caratteristiche di quello che lo precede: un fraseggio elusivo, privo di quell'ordine che solitamente domina la musica di Mozart, ma forse per questo singolarmente affascinante.
Il Finale (5:40) è invece un rondò semplicissimo nella struttura, con un tema a domanda e risposta quasi innocuo, che si anima appena un po' di più nelle poche e rapide strofe, che tuttavia sorprendono per la loro varietà.
L'Adagio e Rondò KV 617 per armonica a bicchieri, flauto, oboe, viola e violoncello (cui s'era accennato in http://dailymozart.blogspot.com/2011/11/146-uno-strumento-che-proprio-odio-8.html) è uno dei capolavori nascosti dell'ultimo anno mozartiano. Vi è già presente l'atmosfera fiabesca del Flauto Magico, tanto nelle melodie (soprattutto nell'Adagio) quanto nel timbro, un gioiello di dolcezza accorata che fa leva soprattutto sui registri acuti di flauto, oboe e glassharmonica, pur bilanciata dalle sfumature medio-gravi della viola e del violoncello:
Dopo il fermoimmagine incantato dell'Adagio, quando comincia il Rondò sembra quasi che stia per mettersi in moto un meccanismo. L'impressione è confermata dal tema, un bellissimo motivo da carillon, di sorprendente lunghezza e con una curiosa forma a spirale.
I couplet, anch'essi molto estesi e particolareggiati, offrono all'ascoltatore un'inattesa girandola di modulazioni. Uno dei sottotemi di queste strofe tornerà in una sezione successiva, che si potrebbe considerare uno sviluppo a tutti gli effetti se il brano fosse in forma sonata. C'è anche il tempo per una coda, nella quale il sottotema avrà ancora la parte principale.
Nel II movimento Levin elimina l'introduzione e il postludio orchestrali, mantenendo quasi solo le parti soliste e lasciando all'orchestra poca cosa. Forse la preponderanza dei quattro strumenti a fiato su tutti gli altri fa di questo brano il migliore (e di gran lunga) della Sinfonia, perché l'intervento di chi ha rimaneggiato l'opera (se qualcuno mai l'ha rimaneggiata) è comunque molto ridotto rispetto ai tempi estremi:
Dunque nella versione di Levin i solisti cominciano a suonare subito, sebbene accompagnati dall'orchestra, e dopo aver esposto il tema passano a elaborarlo pressoché da soli, tirando avanti fino a che gli archi non completano la sezione con una chiosa brevissima (2:32-2:37).
Si passa quindi allo sviluppo, sempre di competenza dei solisti, e il minore serve solo da diversivo, scomparendo dopo poche battute. L'orchestra rimane a guardare anche all'inizio della ripresa, e l'unico momento in cui può intervenire senza doversi sovrapporre al concertino è alla fine, quando ribadisce la stessa frase con cui aveva laconicamente firmato l'esposizione.
Visto che in questi giorni si è parlato di sinfonie concertanti, vale la pena di parlare anche del capolavoro mozartiano del genere (stavolta indiscusso), ovvero il KV 364 per violino e viola. O meglio, fino a ieri si pensava che l'opera fosse destinata a questi due strumenti; senonché è stato scoperto che era stata ideata originariamente per oboe e per oboe baritono, una scelta che nel caso del secondo strumento suona un tantino anacronistica:
Non mancano versioni più ortodosse (ed eseguibili) come questa per sestetto d'archi:
Delle critiche mosse alla Sinfonia concertante KV 297b si è già detto. Ciò che invece non abbiamo ancora trattato è l'antefatto che circonda l'opera come un alone nebuloso. Questa la genesi della composizione: tra il 5 e il 9 aprile 1778 Mozart scrive a Parigi la Sinfonia per quattro solisti di spicco, Wendling (flautista), Ramm (oboista), Stich (cornista) e Ritter (fagottista). L'impresario Jean Le Gros acquista lo spartito, ma anziché far eseguire l'opera si tiene l'autografo e davanti alle rimostranze di Mozart fa il vago. Wolfgang non può più riavere la partitura, ma promette al padre di riscriverla da cima a fondo perché se la ricorda a memoria.
Ora la Sinfonia concertante pervenutaci è scritta per oboe, clarinetto, corno e fagotto, per cui la parte del flauto è stata scambiata con quella dell'oboe e quella dell'oboe sostituita dal clarinetto. Il musicologo Robert Levin ha voluto ricostruire l'opera per la formazione di solisti originaria e la sua versione è stata catalogata col numero KV 279B (la lettera maiuscola la distingue da quella pervenutaci):
Levin non si è limitato a sostituire l'organico con quello descritto da Mozart, ma ha basato il suo rifacimento "su calcoli statistici e proporzionali piuttosto cheestetici" (dalle note di Renato Meucci per il CD Philips - Complete Mozart Edition). Più che riprodurre lo stile di Mozart, dunque, deve aver preso a modello la sua scrittura per orchestra e la struttura di gran parte delle sue composizioni.
Ne consegue che il suo lavoro è un generale snellimento della Sinfonia concertante da cui siamo partiti: la versione ricostruita da Levin del I movimento dura infatti sensibilmente meno rispetto a quella vista nei post precedenti. Nell'esposizione orchestrale sono state eliminate alcune ripetizioni e, al termine della stessa, dopo il crescendo, è stata aggiunta una frase "mozartianeggiante" che era assente nel manoscritto.
Inoltre Levin ha soppresso la "terza esposizione" (ovvero la seconda solistica) e l'ha rimpiazzata con lo sviluppo (a 4:34), del quale ha per giunta modificato la parte orchestrale. La ripresa che segue (5:51) ripercorre però quasi interamente le tracce dell'esposizione solistica, cosa che invece non avveniva nella partitura manoscritta (in cui le parti dei fiati di fatto "riassumevano" la seconda e la terza esposizione) e non avviene generalmente in Mozart, che modifica la ripresa per conferire maggior varietà alla composizione.
Tant'è vero che le sue opere incompiute e completate da altri, Stadler in primis, hanno la ripresa maldestramente identica all'esposizione (per es. la Fantasia KV 396, che non arriva neppure allo sviluppo, ha la ripresa che ripete pari pari l'esposizione fino alla fine, salvo le modulazioni imposte dalla forma sonata).
Il Finale del Quintetto per clarinetto in la maggiore KV 581, commovente esempio dell'ultimo Mozart, è stato trascritto (probabilmente non dall'autore) per tastiera e catalogato in appendice al Koechel con il numero 137. Si tratta né più né meno di un'occasione per gustare questo bellissimo pezzo eseguito al pianoforte (o meglio al fortepiano, nel video seguente):
Direttamente mozartiane, invece, le notevoli Variazioni su "Hélas, j'ai perdu mon amant" per violino e pianoforte, in un bel sol minore che, pur lontano dalla drammaticità di altri lavori di Mozart in questa tonalità, mantiene un interesse costante per l'ascoltatore. Il tema è uno dei migliori su cui Wolfgang abbia scritto variazioni, e l'opera non segue le caratteristiche del genere: niente finale e niente variazione lenta, ma un continuo sfumare da una tinta di tristezza all'altra:
Tra le altre caratteristiche notevoli e originali dell'opera c'è la conclusione in piano (non una rarità in Mozart, a dire il vero, ma una conferma del suo stile pacato, lontano dalla ricerca di facili applausi) e la luminosità della variazione in maggiore, un fiore di luce dopo il trascolorare delle nuance offerte dal modo minore.
Nel meno noto Divertimento KV 137 Mozart adotta la struttura della sinfonia da chiesa, genere affrontato sporadicamente da Joseph Haydn e caratterizzato dal fatto di cominciare con un andante, mentre l'allegro, consuetamente in prima posizione, va in seconda.
L'anomalia di questa disposizione dei tempi è messa in risalto dall'instabilità tonale e melodica del primo movimento, che ripercorre con tinte ben più incerte - quasi smarrite - il tema principale del Divertimento precedente.
Se il carattere può disorientare l'ascoltatore, abituato all'entusiasmo disteso dell'esposizione mozartiana, il fraseggio e il lotto delle melodie impiegate sono riconoscibilissimi, appartenendo in pieno al lessico musicale dell'autore. Più deciso, e quasi in odore di Sturm und Drang (secondo il Della Croce), è invece il 2° movimento, quasi una riedizione del brano che aveva aperto il KV 136:
Altro capolavoro nel capolavoro è il quartetto (Belmonte, Konstanze, Pedrillo e Blondchen) del Ratto dal Serraglio, in cui viene rappresentato un piccolo dramma in 10 minuti circa. Diviso in tre parti e grosso modo assimilabile a un concerto in tre movimenti anche per la velocità dei tempi (mosso - lento - mosso), ci mostra le due coppie dell'opera finalmente riunite. Dopo un momento di euforia, Belmonte e Pedrillo manifestano i loro dubbi sulla fedeltà delle loro belle.
Puntualmente premiati con uno schiaffo, i due si pentono e la riconciliazione è suggellata da un'accelerazione orchestrale che spazza i tentennamenti e riporta la pace.
In realtà la struttura del pezzo è molto più complessa. Intanto Mozart non si accontenta più di far esprimere a ciascun personaggio una propria emozione, ma lo fa dialogare in musica con gli altri. Gli episodi che compongono il quartetto sono inoltre più numerosi, come lo sono gli spunti melodici impiegati.
Nonostante la durata della scena, di fatto l'azione non ha pause, dando l'impressione di un film. Su scala ridotta avviene quasi lo stesso nel Duetto tra Blondchen e Osmino, dove nella fase centrale, tuttavia, il corso della vicenda quasi si ferma (1:05) per sottolineare le considerazioni di costume dei due personaggi:
Dopo aver analizzato una delle opere più controverse della produzione mozartiana (se vi appartiene), possiamo occuparci di altre Sinfonie concertanti, ovvero quella abbozzata da Mozart per violino, viola e violoncello e quelle dei colleghi, considerando anche quella di Haydn che avevamo citato di passata nell'altro post.
Questo movimento di Sinfonia Concertante per violino, viola e violoncello (comincia a 1:18, con un sonoro purtroppo non impeccabile), è stato purtroppo lasciato allo stato di frammento da un Mozart all'apice dell'ispirazione e catalogato come KV 320e tra le opere incompiute. Fa il paio con un altro capolavoro mozartiano interrotto, il Concerto per violino e pianoforte KV 315f.
La Sinfonia Concertante per viola e contrabbasso di Dittersdorf, buon sinfonista e fortunato autore di singspiel, è stata invece additata come esempio di come non si dovrebbe scrivere un'opera di questo genere. Pur senza trovarvi particolarmente da criticare, non possiamo certo considerarla più di una composizione ordinaria, senza trovate o guizzi di rilievo.
Franz Danzi (1763-1826), noto soprattutto per le sue composizioni per soli fiati spesso in tonalità minori (sopratuttto quintetti) e recentemente pubblicate da diverse case discografiche, fa il suo ingresso in questo blog con questa Concertante per flauto e clarinetto op. 41, certo più allettante di quella dittersdorfiana e manifestamente orientata verso un classicismo di primo Ottocento. Magnifica, nel brano qui in visione, la scrittura per i due strumenti a fiato.
Non resta che tornare alla Sinfonia Concertante di partenza, quella per fiati KV 297b, e aggiungere, dopo aver visto il bello e il brutto di questo genere musicale prevalentemente francese (poiché circa un terzo dei compositori che vi si cimentarono erano francesi), i commenti contrastanti dei critici.
Secondo John Warrack, "ad ogni modo la musica non è certamente del miglior Mozart. Un'evidente mancanza di contrasto fra i tre movimenti, tutti in mi bemolle, armonicamente statici, e tutti in 2/4 o in 3/4. La più ingegnosa delle ricostruzioni non può cambiare le cose, anche se può presentarci le idee del compositore in una luce più plausibilmente "mozartiana"."
Della Croce è invece nettamente a favore dell'autenticità, in quanto secondo lui la partitura è "mozartiana da capo a fondo e colma di gemme difficilmente assegnabili ad un autore diverso", e loda anche il Finale, "scintillante e teso". Anche l'Hocquard si schiera da questa parte, pur con qualche riserva: "E' un'opera monumentale che domina come una torre isolata e formidabile tutta la produzione contemporanea. Tuttavia spiace che questa grandezza abbia il suo rovescio: Mozart cede al "gusto rozzo dei Tedeschi" (...). Questa critica non tocca però l'Adagio centrale in mi bemolle maggiore, dove Mozart non ha perso nulla della sua concentrazione poetica: mirabili l'invenzione e il trattamento delle melodie che vengono affidate in successione o in sovrapposizione ai quattro solisti".
Paumgartner la chiama "splendida opera, oggi fondamentale nei repertori dei migliori complessi di fiati" e aggiunte in una nota: "La presente versione (K297b), malgrado gli innegabili pregi, mostra purtroppo anche i segni di manomissioni prive di scrupoli, di patenti sofisticazioni, comuni a tutte le opere di Mozart recentemente riemerse dagli archivi parigini (...). La Sinfonia concertante rimane tuttora un pezzo di parata molto eseguito dai nostri complessi di strumenti a fiato d'alto livello. Qui il contenuto mozartiano prevale ancora in maniera stupefacente!"
Mi viene spontaneo un parallelo con la Sinfonia (pure concertante) KV 364, in cui Mozart ha raggiunto livelli simili, pur strutturando in modo completamente diverso il tempo centrale. Anche lì il terzo movimento era più disteso rispetto ai primi due e "abbassava il tono" pur senza compromettere il livello compositivo. Qui invece le profondità del II tempo quasi appiattiscono, e l'attrattiva principale del pezzo è un inatteso rallentamento prima del rapidissimo Vaudeville conclusivo.
Un finale "à la mode", dunque, come lo stesso Mozart ne ha composti in occasione del Concerto per arpa, per non dire delle numerose concessioni al pubblico fatte nella Sinfonia "Parigi". E nel quale compare in ogni caso (0:43-0:46) un altro passaggio tipicamente mozartiano, che ricorre in molte opere della sua produzione ma non in quelle dei contemporanei.
Tutto sommato, pur considerando in blocco i difetti di questa partitura comunque affascinante, io direi che è di Mozart. I suoi tratti stilistici ci sono, lo sviluppo che si allontana dall'esposizione pure, la maestria di scrittura anche. Per sincerarsene si confronti questa Concertante con quella di Haydn (detta anche Sinfonia n. 105 e scritta nel 1792), che pur con i suoi indubbi pregi, nonché uno splendido finale con tanto di recitativo scherzoso all'insegna della più spassosa ironia haydniana, resta nel complesso al di sotto.
Con il Laudate Dominum, Mozart tocca uno dei suoi vertici popolari nella musica sacra, forse superato solo dall'Ave Verum o da alcuni passi del Requiem. Dopo le ruvidità che han caratterizzato gran parte di questi Vespri, ultima delle sue opere di musica sacra composte a Salisburgo, questo brano si lascia andare a un fraseggio di zucchero, richiamando alla mente del melomane il Duetto di Susanna e della Contessa anche per il ritmo ondeggiante che culla questo 5° movimento:
Il Finale, un Magnificat, è giustamente trionfale e anch'esso libero dalle tensioni accumulate fino al Laudate Pueri:
Sempre più conscio delle proprie potenzialità, Mozart è ormai desideroso di affrancarsi dall'Arcivescovo Colloredo e passare alle dipendenze di un altro potente in altra città. Cerca così di far colpo su Monaco, e qui compone una delle sue creazioni più potenti e grandiose, il Kyrie KV 341 in re minore, universalmente lodato dalla critica:
Dopo le prime battute, un blocco monumentale in cui timore e solennità si fondono e si confondono, il tessuto melodico - sempre sorretto e alimentato dall'azione forte e puntuale del coro - si umanizza via via, ma resta sempre l'impressione d'una sorta di Sturm und Drang sacro (probabilmente involontario), che potremmo ritrovare, senza troppa fatica, nella Sinfonia Funebre di Joseph Martin Kraus, opera scritta nel 1792 da un autore nato nello stesso anno di Mozart e morto appena un anno dopo di lui:
L'ultimo quartetto per flauto composto da Mozart, il KV 298, molto probabilmente scritto più tardi di quanto suggerisca il numero di catalogo, è forse una parodia di alcuni lavori dei colleghi, come pensa l'Einstein. Difficile però dargli ragione se si ascolta l'opera che, per quanto superficiale essa sia, sembra improntata alla massima serietà.
I tre movimenti giocano rispettivamente sulle melodie di un lied dell'editore-compositore Hoffmeister, di una canzone francese ("Il a des bottes") e di un'aria di Paisiello tratta dall'opera Le gare generose. Studi recenti dimostrerebbero che quest'opera dovrebbe risalire agli anni viennesi, e più precisamente al 1786 o al 1787, forse durante una serata dai Jacquin.
In tal caso, visto il livello che Mozart aveva ormai raggiunto in quell'epoca, questo lavoro non avrebbe potuto essere più disimpegnato.
Il flauto ricomparirà sporadicamente nei concerti o nella musica da camera di Mozart: nella Sinfonia Concertante KV 297b, oggi andata perduta, nel Concerto per flauto e arpa KV 299, all'altezza del KV 313 se non migliore, e nell'Adagio e rondò per armonica a bicchieri KV 617. Tutto sommato, questo strumento ha avuto dal Nostro più omaggi di quanti non ne abbia ricevuti il fagotto, l'oboe, il violoncello o la tromba.
Per far risaltare i quattro strumenti sulla scena principale l'autore ricorre però a una doppia esposizione solistica, fatto che può aver fatto gridare più di un critico alla "ripetizione fuori luogo", per cui ci ritroviamo ad ascoltare il tema iniziale e successive controfrasi per tre volte in pochi minuti. Per contro, la scrittura di alcuni strumenti, come il clarinetto, con i suoi arpeggi indovinati, ma non insistiti, e senza virtuosismi eccessivi, sembra già preludere al Mozart del Quintetto KV 581 e del Concerto KV 622. In ogni caso si tratta di un'esposizione di oltre 7 minuti e mezzo, ben diversa da quella del Concerto per oboe di prima e molto più ricca, almeno sotto l'aspetto dell'orchestrazione.
Suona mozartiano anche lo sviluppo, con il suo inizio che esce dalle vie battute nell'esposizione (o meglio, ci mette davanti una melodia diversa da quelle udite) e la svolta in minore, priva di particolare drammaticità, una caratteristica che si riscontra in molte opere ottimiste del primo periodo (intendo prima del grande salto a Vienna). Staehelin vede una preponderanza esagerata dell'oboe che squilibrerebbe questa fase, ma i passaggi sincopati, il garbato utilizzo del modo minore che torna utile a mo' di contrasto, ma non influisce più di tanto sull'umore del brano, e la varietà del materiale che serve a rimpolpare lo scarso numero di idee presentate all'inizio. Impossibile, comunque, non pensare a un'opera ambiziosa, considerando le dimensioni, la quantità dei dettagli nella scrittura orchestrale e solistica e lo sfruttamento delle possibilità offerte dai singoli strumenti, un pregio che può richiamare il lavoro di scavo effettuato nel Quintetto KV 452, tra l'altro per gli stessi strumenti a fiato oltre al pianoforte.
Nel 2° movimento non solo l'autore conferma quanto di bello ha fatto ascoltare nel 1°, ma va anche molto oltre, con un solenne inizio a canone che coinvolge l'orchestra e subito dopo i solisti. Nessuna pedanteria né scialo di vanterie contrappuntistiche: qui si va dritto al sodo con una melodia che prende quasi immediatamente il sopravvento e che è la vera stella dell'opera. Anche qui il clarinetto prefigura le splendide evoluzioni dell'Adagio del KV 622, e l'oboe, "coprotagonista", non è da meno. Oltre a questo splendido tema c'è anche spazio per un corposo sviluppo, che riparte dal fagotto e da una melodia ancora inascoltata. Un passaggio cadenzale verso il termine del brano (al minuto 7:22) è addirittura presente in uno dei vari abbozzi di Mozart bambino.
Controversa e non ancora attribuita, la Sinfonia concertante KV 297b è ancora un capitolo irrisolto del catalogo Koechel. Scrive per esempio Martin Staehelin:
"In diversi punti della partitura si notano delle divergenze nella condotta delle parti dell'oboe e del clarinetto che sono dovute all'estensione dei due strumenti e dimostrano che l'opera è stata rielaborata in un secondo tempo, come accadeva spesso all'epoca con le composizioni di Mozart. Certo questa osservazione non deve indurci a trarre l'avventata conclusione che l'autenticità mozartiana della Concertante sia per questo sicura; nel caso in questione sarebbe potuto benissimo trattarsi anche del rimaneggiamento dell'opera di un altro autore.
Non si può dunque fare a meno di esaminare minuziosamente il pezzo anche dal punto di vista della qualità compositiva. E qui saltano fuori altre osservazioni che ci fanno sospettare della genuinità della Sinfonia: il fatto che tutti e tre i movimenti siano nella stessa tonalità (mi bemolle maggiore); il ritornello un po' "scontato" che chiude ogni variazione nel Finale; una curiosa mancanza di concentrazione, caratteristica tutt'altro che mozartiana, che traspare dalla ripetizione invariata di alcuni passaggi lunghi e soprattutto di passaggi brevi, abitudine che d'altronde era tipica della musica per fiati del pre-Classicismo francese. Benché l'opera non machi certo di tratti mozartiani, queste ed altre considerazioni portano a negare l'autenticità della Sinfonia concertante KV App. C 14.01, nella forma in cui è pervenuta".
Nonostante le fondate critiche mosse da Staehelin, la Sinfonia Concertante KV 297b ha molto di mozartiano, specialmente nel primo tempo che, già nell'incipit e nella frase immediatamente successiva, ricalca alcune opere di Wolfgang e ne anticipa altre. Le battute di apertura si ritrovano, molto simili, nella Sinfonia KV 132 e nel Concerto KV 482 (entrambe ancora in mi bemolle maggiore), mentre alla battuta 12 comincia una frase, subito sfruttata con un procedimento imitativo che dopo coinvolgerà i solisti, che ne ricorda molto un'altra, situata quasi in un punto identico dell'esposizione, della Piccola musica notturna KV 525. L'esposizione orchestrale è sontuosa; altre "spie", come i tremoli che spesso Mozart inserisce nelle sue Sinfonie, specie in quelle giovanili, il sinuoso secondo tema, l'accurato trattamento dei fiati che non fanno parte del gruppo dei solisti, fanno propendere di primo acchito per l'autenticità dell'opera.
Altro quartetto per flauto in soli due movimenti, il KV 285b in do maggiore presenta un tema simile a quello del KV 285 (addirittura identico all'inizio, esendo costituito da una nota lunga seguita da un trillo una terza sotto), per quanto condotto con minore maestria e maggior rigidità. Il secondo soggetto è introdotto da una nota ribattuta, caso piuttosto raro in Mozart:
Il II tempo è invece costituito dalle stesse variazioni che ritroveremo, per tutt'altro organico, nella Serenata Gran Partita KV 361, uno dei capolavori assoluti mozartiani:
Nella futura opera, i quattro strumenti diverranno tredici, il numero dei movimenti aumenterà da due a sette (non contando l'introduzione lenta), la genialità di Mozart si rifletterà non solo sull'invenzione melodica, ma anche sulla felice scelta timbrica e sull'ammirevole condotta delle parti, il tutto in una composizione che costituirà una vera e propria passerella per gli strumenti a fiato.
Nel II tempo del Divertimento KV 136, Mozart scrive di fatto un'aria d'opera che può ricordare molto vagamente l'incipit della futura e lontana "Deh se piacer mi vuoi" (Clemenza di Tito). Tema leggiadro (aggettivo tipico per l'epoca e particolarmente calzante qui), esposizione che prosegue in stile lirico. Il carattere del brano non rinnega la felicità che sgorgava nel movimento d'apertura, né il breve sviluppo insinua ombre sull'idillio in corso.
Le affascinanti melodie degli archi lasciano nuovamente il posto a una corsa sfrenata nel Finale, dove sei note, quasi a mo' di starter, danno il segnale di partenza:
Alla settima nota torna il tema iniziale di tutto il Divertimento. L'autore insiste sugli staccati con cui aveva aperto il pezzo, ma non contento impernia il rapido sviluppo su un inatteso fugato, senza perdere nulla dell'allegrezza che già aveva pervaso il I tempo, prima che un paio di violenti accordi riportino alla ribalta il soggetto di partenza.
Nel Ratto dal Serraglio le sorprese, già innescate dall'aspra contesa tra Belmonte e Osmino, non mancano certo: ecco nell'apparentemente sereno Vaudeville finale un'estrosa ribellione che nel testo mantiene la stessa metrica dei versi precedenti, ma nelle mani di Mozart diventa un'altra magnifica dimostrazione della capacità caratterizzatrice del nostro autore. Il momento in cui Osmino dice la sua (2:12) prima di andarsene furioso è comico, se confrontato alle precedenti dimostrazioni di riconoscenza, e minaccioso a un tempo:
Anche qui vien tolta letteralmente la parola a chi stava cantando e Osmino cambia musica e registro, in tutti i sensi davvero: il suo sconsiderato sfogo finisce sulle parole di una sua precedente aria, "Solche hergelauf'ne Laffen". E come rimangono gli altri personaggi in scena, dopo quest'esplosione! Nella successiva frase-riflessione che sciorinano davanti al Pascià serpeggia la paura, quasi a dire "Non si sa mai, potrebbe anche averci ripensato", e non fa meraviglia che s'affrettino a partire a palle di fumo.
Curiosità. Immediatamente precedente nel catalogo Koechel, quest'aria che segue (KV 383), "Nehmt meinen Dank", riprende il tema del Vaudeville, con toni quasi malinconici. Forse Mozart intendeva ringraziare qui il Cielo per esser finalmente fuggito da Salisburgo con un atto temerario, se non coraggioso: